Teatro

Monica Ruocco, Storia del teatro arabo : dalla nahdah a oggi. Roma, Carocci, 2010, pp.324

 

Premessa dell'autrice

Questo lavoro è il frutto di una ricerca iniziata ormai oltre vent’anni fa quando, ancora studentessa all’Istituto universitario orientale di Napoli, mi ero recata a Damasco dove, spinta dall’interesse per il teatro, seguivo i corsi che il drammaturgo siriano Sa‘d Allāh Wannūs teneva presso l’Istituto di arti drammatiche. La letteratura drammatica del Mashreq e del Maghreb è diventata in seguito oggetto di diversi lavori e traduzioni, e parte integrante dell’attività didattica svolta dapprima presso l’Università del Salento e poi presso l’Università degli studi di Palermo.
Questo saggio vuole mettere in luce, attraverso le esperienze del teatro arabo, la tensione verso la modernità espressa da paesi troppo spesso tacciati aprioristicamente di oscurantismo, chiusura e addirittura ostilità verso qualsiasi forma di innovazione. Dal punto di vista temporale, si è scelto di partire dalle prime sperimentazioni che appaiono a partire dall’epoca della nahḍah, la cosiddetta rinascita araba convenzionalmente collocata tra la fine del xviii e i primi trent’anni del xx secolo. In quest’epoca di estrema apertura, uomini e donne illuminati individuano nel teatro un prezioso e rivoluzionario strumento di progresso artistico e sociale, portatore di un importante discorso politico. Pur accennando alle forme di spettacolo preesistenti in tutte le società arabe fin da epoche molto precedenti la nahḍah, e che tanto influenzeranno i drammaturghi e registi contemporanei, l’oggetto di questo studio, quindi, è soprattutto quel teatro concepito a partire dall’elaborazione di un testo drammatico. Sviluppatasi soprattutto in Egitto e nella regione siro-libanese, questa forma d’arte conquisterà intellettuali, autori e artisti di tutti i paesi arabi diventando, in alcuni periodi, una delle pratiche culturali più seguite.
Il primo capitolo di questo lavoro si sofferma, quindi, sulla tradizione spettacolare del mondo arabo, sui primi incontri tra gli intellettuali arabi e il teatro occidentale, e sulla nascita della drammaturgia e del cosiddetto “teatro all’italiana” in Libano, Siria ed Egitto. A quest’ultima nazione, il cui teatro per decenni fungerà da modello per gli altri paesi arabi, alcuni dei quali trarranno ispirazione proprio dalle tournée di compagnie egiziane, è dedicato il secondo capitolo. Il terzo traccia il percorso compiuto dai teatri maghrebini e del Vicino Oriente, mentre il quarto è dedicato al teatro sperimentale che si sviluppa a partire dagli anni sessanta e getta, alla fine, uno sguardo sulle principali realtà attuali.
Nonostante la grande estensione e varietà di quello che convenzionalmente chiamiamo mondo arabo-islamico, si è cercato di fornire almeno un cenno circa quelle realtà geografiche solitamente trascurate e la cui attività teatrale meriterebbe studi più approfonditi.
È doveroso poi precisare che, consapevole dei dibattiti in corso nella teatrologia in generale, ho scelto di focalizzare la mia attenzione su quegli autori e su quei testi che hanno contribuito alla nascita e all’evoluzione del teatro arabo, pur accennando, in casi specifici, ad aspetti legati alla pratica spettacolare. Quindi, anche per motivi di spazio, ho affrontato solo raramente questioni legate alle tecniche del corpo, alla fenomenologia dell’attore, alla trasmissione dell’arte.
Nel corso degli anni sono state moltissime le biblioteche dei paesi arabi ed europei consultate; è quindi impossibile elencarle tutte. Per i riferimenti al teatro italiano e occidentale in generale, ho svolto le mie ricerche presso la Biblioteca e raccolta teatrale del Burcardo di Roma.
Sono molte le persone che desidero ringraziare, e la prima non può che essere Isabella Camera d’Afflitto, mia docente all’Istituto universitario orientale di Napoli a metà degli anni ottanta, che mi ha suggerito di avvicinarmi all’opera del drammaturgo siriano Sa‘d Allāh Wannūs, alimentando una passione che non è mai diminuita negli anni. A Isabella, a cui va la mia riconoscenza per le acute e indispensabili osservazioni, mi lega ancora un profondo e saldo legame, insieme, di amicizia e riconoscenza che la distanza geografica che oggi ci separa non potrà logorare.
Un profondo e sincero ringraziamento va soprattutto a Hilary Kilpatrick, preziosa, attenta e paziente lettrice del mio lavoro, e sostegno nei momenti in cui questo sembrava non dovesse avere mai fine. Un ringraziamento particolare a Mirella Galletti che ha sciolto tempestivamente alcuni miei dubbi sul teatro kurdo. Un pensiero, infine, per Maria Rosaria Conte, per un periodo mia valida collaboratrice, nella speranza che in futuro le nostre strade possano incontrarsi nuovamente. Naturalmente è esclusivamente mia la responsabilità per qualsiasi errore o omissione.

 

Inizio pagina