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Tawfiq al-Hakim (1898-1987)

Drammaturgo, scrittore e saggista, è uno dei pionieri della letteratura araba moderna. Nato ad Alessandria d'Egitto, da ragazzo si trasferisce in varie città a causa del lavoro del padre magistrato. Vivrà comunque quasi sempre al Cairo. Affascinato dal teatro sin da giovane, i suoi primi esperimenti in questo settore risalgono addirittura al periodo delle scuole superiori. Tuttavia, per assecondare la volontà della famiglia, intraprende gli studi in Legge. Attratto dal nascente nazionalismo egiziano e dal desiderio di rinnovamento sociale che animava la sua epoca, scrive opere come al-Dayf al-thaqìl (L'ospite molesto), del 1919, in cui si schiera contro la presenza britannica, e al-Mar'a al-giadida (La donna nuova), del 1924, sulla questione femminile. In questa prima fase della sua attività letteraria scrive principalmente commedie leggere, farse e operette musicate da compositori locali. Laureatosi al Cairo nel 1925, trascorre poi quattro anni a Parigi dove continua gli studi in Legge e, soprattutto, frequenta assiduamente i teatri e gli ambienti culturali, subendo in maniera particolare l’influenza dell’astrattismo e del simbolismo di Maeterlinck. Tornato in patria, dal 1930 al 1934 lavora come procuratore nelle province rurali egiziane, venendo così a profondo contatto anche con gli strati più poveri della società. Dopo questa esperienza, che forse più di altre lo porta a sviluppare quel filone del “realismo sociale” tipico della sua produzione artistica, abbandona la magistratura per dedicarsi esclusivamente alla letteratura, e soprattutto ai lavori teatrali, avendo già raggiunto il successo in questo campo con il dramma simbolista La gente della Caverna (v.), del 1933, con cui inaugura il “teatro intellettuale” (al-masrah al-dhihni). L'opera, tradotta da Rizzitano, sarà rappresentata nel 1954 in Italia, nel Parco di Monreale, dove riscuoterà un lusinghiero successo. Sempre nel '33 pubblica ‘Awdat al-rùh (Il ritorno dello spirito), un romanzo allegorico sulla continuità dello spirito nazionale dell’Egitto, dall’era faraonica fino alla rinascita moderna. Nel 1936 - scrive F. Gabrieli - al-Hakim è tra i monti della Savoia dove, in collaborazione con Taha Husayn (v. Taha Husein), crea l'opera fantasiosa al-Qasr al-mashùr (Il castello incantato). “In questo delicato ricamo d'arte pura i due illustri letterati egiziani hanno confuso il loro talento e arricchito d'un gioiello la letteratura araba”. Del '37 è Diario di un procuratore di campagna (v.) che rientra invece nella corrente realista che domina la narrativa dell'epoca. Durante la monarchia, l'autore occupa posti di responsabilità presso due Ministeri (Istruzione e poi Affari Sociali), ma già nel 1943 si ritira dal lavoro governativo. Nel 1951, tuttavia, Taha Husayn, allora ministro dell'istruzione, lo nomina direttore della Dàr al-Kutub, la Biblioteca Nazionale. Con il nuovo regime repubblicano, al-Hakim sarà membro dell'Accademia della Lingua Araba, verrà designato da Gamal ‘Abd al-Nasser al Consiglio Superiore delle Arti e delle Lettere, e, più tardi, rappresenterà l'Egitto all'Unesco. Nel 1956 scrive il dramma al-Safqa (Il contratto), in cui denuncia gli abusi dei latifondisti contro i contadini e usa quella che egli definisce la "terza lingua", cioè un arabo letterario abbastanza vicino al dialetto egiziano da essere capito dal pubblico più vasto. Al 1957, invece, risale Viaggio nel futuro (v.) che, ispirata soprattutto alla narrativa fantascientifica, è “forse la sua migliore opera” teatrale, secondo A. Borruso, che ha curato la versione italiana dell’opera. Nei primi anni '60 al-Hakim riceve il Premio Letterario dello Stato egiziano e, inoltre, entra nell’organo direttivo del quotidiano «al-Ahràm». Con il dramma O tu che sali sull'albero (v.) si ricollega, seppur in modo personale, alla corrente del “teatro dell’assurdo” europea, e, nel '63, il Governo apre un teatro a lui dedicato. Fatta eccezione per alcune poesie, al-Hakìm ha sempre scritto opere in prosa (vari racconti e romanzi e circa settanta drammi e commedie), dallo stile semplice e scorrevole, moderno ed elegante. Ha in parte attinto al patrimonio classico occidentale, ma le fonti che lo hanno più ispirato sono il Libro dei morti dell’antico Egitto, il Corano, con le leggende derivate dalla tradizione ebraica e cristiana, e le Mille e una notte. Intellettuale laico e talvolta controverso, molto conosciuto anche in Occidente, è una delle maggiori figure della cultura araba del '900. È stato paragonato a Pirandello ed è convenzionalmente indicato come il padre della drammaturgia araba.

Opere in italiano:

Cibo per tutti
Introduzione e traduzione di A. De Simone, Palermo, Centro Culturale al-Farabi, 1985, pp. 143.
Titolo originale: al-Ta‘àm li-kulli fam (trad. lett.: Cibo per ogni bocca, 1963).

Commedia in tre atti influenzata, da un punto di vista esclusivamente stilistico, dal teatro dell'assurdo, mentre il contenuto si riallaccia al filone del “realismo sociale” di al-Hakim. Un giorno, la vita quotidiana di una coppia stanca del matrimonio e di un'esistenza senza ideali, cambia grazie a un banale evento. Un’infiltrazione d’acqua nella parete del salotto crea una macchia di umido in cui essi ravvisano le sembianze di tre persone: un giovane scienziato impegnato in un progetto per l’abolizione della fame nel mondo; sua madre, che forse aveva ucciso il marito con la complicità di un cugino, poi sposato in seconde nozze; e sua sorella, tormentata dal desiderio di vendicare il padre e angosciata dall’atteggiamento del fratello che, tutto preso dal lavoro, non è d'accordo con quell'iniziativa della sorella basata su un concetto della giustizia che gli sembra ormai superato. I due coniugi assistono così con interesse alle discussioni animate tra i membri della seconda famiglia “insediata” sulla parete del proprio salotto. Ad un certo punto, questo nucleo familiare sparisce quando l’intonaco danneggiato inevitabilmente cade. Ispirati dai nuovi valori emersi dai discorsi che hanno sentito, il marito e la moglie cambieranno vita, dedicandosi l’uno alla promozione della scienza a fini umanitari e l’altra alla musica, la passione che aveva abbandonato dopo il matrimonio.

Diario di un procuratore di campagna
Traduzione e cura di S. Pagani, Roma, Nottetempo, 2005, pp. 250.
Titolo originale: Yawmiyyàt nà'ib fì al-aryàf (1937).

Il sostituto procuratore di una cittadina del Delta del Nilo viene svegliato nel cuore della notte per un omicidio. L'unica persona a conoscere i fatti è una bellissima adolescente che, però, quasi subito sparisce senza lasciare traccia di sé. Per dodici giorni il magistrato e la sua squadra di poliziotti corrotti e inefficienti, nonché uno strano vagabondo che li segue nelle indagini, si dedicheranno anima e corpo al caso, nella speranza di ritrovare la giovane scomparsa. In questo racconto poliziesco viene ritratta in modo ironico e graffiante una società provinciale, rigidamente divisa fra rappresentanti delle istituzioni, piccoli poteri locali e contadini schiacciati dalla miseria e dagli oscuri ingranaggi della burocrazia di un repressivo Stato moderno. L'autore si basa sulla propria esperienza di magistrato per scrivere questo romanzo che vuole essere soprattutto una denuncia sociale.

Il canto della morte
Traduzione di B. Volpi, in Scritti in onore di Laura Veccia Vaglieri, Parte II, Vol. XIV, Annali dell'Istituto Universitario Orientale di Napoli, 1964, pp. 817-36.
Titolo originale: Ughniyyat al-mawt, pubblicato in Masrah al-mugtama' (Il teatro sociale, 1950).

Dramma in un unico atto incentrato sul problema, talvolta diffuso in certe parti dell'Egitto, delle vendette familiari tramandate di generazione in generazione. La protagonista è 'Asàker, il cui marito era stato assassinato in una contesa con una famiglia rivale diciassette anni prima dei fatti narrati. La donna era riuscita a nascondere al Cairo il figlio su cui poneva ogni speranza di vendetta. Rimarrà tuttavia delusa quando il giovane torna al villaggio, dopo aver studiato nell’Università islamica di al-Azhar e aver subito l’influsso delle idee moderne, per cui vorrebbe abbandonare l’usanza ancestrale e farsi piuttosto promotore di riforme nel luogo natio.

Il fiore della vita
Traduzione di A. Borruso. M. T. Mascari. Mazara del Vallo, Liceo Ginnasio Gian Giacomo Adria, 1985, pp. 131, e Milano, Ed. Francoangeli, 2001, pp. 137.
Titolo originale: Zahrat al-‘umr (1943).

Nelle lettere scritte dall’Egitto a un amico francese, l’autore esprime la nostalgia per Parigi accanto ad un malessere attuale: si sente soffocato sia dallo statico mondo intellettuale che lo circonda, e che ha appena iniziato a risvegliarsi da un lungo torpore, sia dal lavoro di magistrato che deve svolgere con impegno, ma che gli impedisce di dedicarsi completamente all’arte come vorrebbe. In questa autobiografia in forma epistolare ritroviamo inoltre profonde riflessioni sul ruolo del letterato, sulla musica e, ovviamente, sul teatro. I ricordi delle ricche esperienze culturali fatte a Parigi si intrecciano a quelli di avventure sentimentali, amicizie e avvenimenti curiosi di una vita bohémien.

La casa delle formiche
Traduzione di V. Vacca, in «Levante», Anno VIII, N. 4 (dic. 1961), Roma, Centro per le Relazioni Italo-Arabe, pp. 3-17.
Titolo originale: Bayt al-naml, apparso in Masrah al-mugtama'.

Atto unico che si svolge in una stanza piena di libri e carte. Un giovane matematico è a letto e, uno alla volta, i genitori si affacciano sulla porta per chiedergli notizie sulla sua inspiegabile malattia. A un certo punto, però, appare nella camera una bellissima donna appartenente alla categoria dei ginn, spiriti folletti dominatori dello spazio e degli astri, molto noti nella tradizione musulmana. Questa figura femminile non è una seduttrice, bensì una saggia filosofa che conquista il matematico, riuscendo a soddisfare la sua sete di sapere.

La gente della caverna
Introduzione e Traduzione di U. Rizzitano, Roma, Centro per le Relazioni Italo-Arabe, 1960, pp. 177.
Quei della caverna. Traduzione di R. Rubinacci, Napoli, Istituto Universitario Orientale, 1959, pp. IX-85.
Titolo originale: Ahl al-kahf (1933).

Dramma simbolista in quattro atti ispirato alla leggenda narrata nella Sura XVIII del Corano e che riprende quella cristiana dei dormienti di Efeso. Nella storia originale, sette giovani, rifugiatisi in una caverna per sfuggire alla persecuzione dell'imperatore Decio, per miracolo si addormentano, risvegliandosi dopo quasi duecento anni, all'epoca di Teodosio. Il numero dei dormienti non è precisato nel testo coranico. Nel lavoro di al-Hakim i protagonisti sono tre: due uomini di corte e un pastore con un cane, e la vicenda si svolge a Tarso. I personaggi si risvegliano dopo trecento anni, ma credono di avere dormito solo per qualche giorno. Capiscono man mano la verità, quando escono dalla caverna e si avventurano nella loro città, scoprendo che ogni cosa è cambiata: i costumi sono diversi, il paganesimo è sparito e, soprattutto, non ci sono più i loro cari. Il tema esistenziale di questo dramma raffinato e fantasioso, triste e ironico, è la lotta dell'Uomo contro il tempo.

L’albero del potere
Traduzione di U. Rizzitano, in «Oriente Moderno», Anno XXIII, N. 10, Roma, Istituto per l'Oriente, 1943, pp. 439-47.
Titolo originale: Shagiarat al-hukm, in Tahta shams al-fikr (Sotto il sole del pensiero), 1938.

Atto unico di satira politica. La storia, dai tratti allegorici, è ambientata in Paradiso dove si incontrano un Presidente del Consiglio e un Ministro. Attraverso il dialogo tra i due protagonisti, come spiega il traduttore, al-Hakim esprime la propria delusione nei confronti della politica interna egiziana, specialmente per quanto riguarda la questione delle elezioni. Ci offre così la possibilità di conoscere un'opinione probabilmente diffusa tra gli intellettuali dell'epoca. L'ambizione al potere è sostanzialmente vista come un elemento che sovverte qualsiasi ordine morale.

L'amore ideale
Traduzione di V. Vacca, in Scritti in onore di Laura Veccia Vaglieri, Parte II, Vol. XIV, Annali dell'Istituto Universitario Orientale di Napoli, 1964, pp. 799-816.
Titolo originale: al-Hubb al-‘udhri

Commedia in un unico atto il cui titolo arabo significa letteralmente “l'amore 'udhrita”. I Banu 'Udhra erano una antica tribù i cui poeti cantavano sentimenti simili all'amore platonico. Il protagonista della commedia è un egiziano avaro che definisce “'udhrita”, cioè ideale, la sua passione per il denaro, mentre disprezza l'ambizione politica e gli affetti umani che portano a spenderlo.

La prigione della vita. Autobiografia
Traduzione di G. Belfiore, Palermo-Roma, Univ. di Palermo/Istituto per l’Oriente, 1976, pp. VII-212.
Titolo originale: Sign al-‘umr (1964).

Nel cercare gli elementi che stanno alla base del suo carattere e della sua irriducibile passione per l'arte, l'autore ricorda le fasi salienti della propria formazione, a partire dal periodo dell'infanzia, in cui ascoltava i racconti della madre, fino a quello successivo al ritorno da Parigi, quando partecipa attivamente al rinnovamento della cultura egiziana, soprattutto teatrale. I fattori ereditari che determinano in lui la vocazione artistica e quelli familiari e sociali che l'hanno spesso soffocata, gli sembrano le pareti invalicabili di una prigione in cui si dibatterà per tutta la vita.


O tu che sali sull’albero
Introduzione e traduzione di A. De Simone, Roma, Istituto per l’Oriente, 1971, pp. XXXI+100.
Titolo originale: Ya tàli‘ al-shagiara (1962).

Commedia in due atti basata sull'incomprensione reciproca di una coppia di anziani coniugi che vivono in una casa con giardino. Il marito è tutto preso dalla coltivazione di un albero e, contemporaneamente, da una lucertola che ha costruito la tana proprio alla base di quest’albero. La moglie è invece assorbita dalle cure materne verso una figlia mai nata. Un giorno la donna scompare. Messo sotto pressione da un funzionario di polizia, il marito confessa di averla uccisa e va in prigione. La moglie poi fa improvvisamente ritorno a casa. L’uomo viene liberato e, quando la raggiunge, le domanda dove sia stata: di fronte all’ostinazione della donna che si rifiuta di rispondergli, il marito, esasperato, la strangola. Decide di seppellirla sotto l'albero a cui tanto tiene e, in quel momento, gli compare un derviscio che già conosce. La storia fantasiosa e complessa, che parla anche di etica scientifica, prosegue con altri colpi di scena. De Simone, che ne ha curato la traduzione, spiega che al-Hakim con questo testo ha voluto aderire al teatro dell'assurdo, non tanto per seguire una moda quanto per soddisfare il desiderio, sorto anche da meditazioni sull'arte popolare egiziana, di sperimentare una forma di rappresentazione diversa dal realismo.

Pigmalione
Si veda il volume Due drammi, che include anche Viaggio del futuro (v.).
Introduzione, traduzione e nota bibliografica a cura di A. Borruso e P. Spallino, Palermo, Officina di Studi Medievali, 2006, pp. 169.
Titolo originale: Pigmàliyùn (1942).

Dramma simbolista in quattro atti. Rispetto all'omonima opera classica ovidiana, al-Hakim, sulle scorta delle tracce di Shaw, si concede una grande libertà sotto molti aspetti e soprattutto per quanto riguarda la trama, operando una modernizzazione assolutamente personale. Pigmalione scolpisce una bellissima statua e se ne innamora al punto di desiderare che prenda vita. Si reca perciò alle celebrazioni religiose di Venere e supplica la dea di donare la vita alla sua scultura. Il suo desiderio viene esaudito: la statua si trasforma in una creatura che pulsa di passione per chi l’aveva creata. Tuttavia Galatea, la donna in carne e ossa nata dalla statua e innamorata di Pigmalione, non ha nulla dell’immagine perfetta della precedente scultura. È senza passato e senza memoria, parla sempre al presente o al futuro, incapace com’è di trattenere qualsiasi ricordo. Inizialmente felice, Pigmalione cerca di entrare nel ruolo del marito affettuoso e dimentica la vita d’artista. Purtroppo, si riconoscerà incapace di seppellire il passato, ritrovandosi vittima della propria memoria. Muore così di nostalgia per la Galatea scolpita, che era il riflesso della sua grande capacità creativa. Pigmalione è il simbolo del narcisismo dell’artista, perché in realtà quello che lo fa veramente soffrire è il fatto di dovere assistere allo sfiorire e all’annullamento della sua stessa opera d’arte. Chiede quindi a Venere di riportare Galatea alla condizione originale. La sua richiesta sarà di nuovo esaudita, ma trascorrerà il resto dei suoi giorni ossessionato dal ricordo della moglie, finendo poi per rimpiangerla.

Salomone e la regina di Saba
Traduzione di A. Borruso, Palermo, IDCAS/Edizioni Grifo, 1987, pp. 167, ill.
Titolo originale: Sulaymàn al-hakìm (1943).

Dramma simbolista in sette atti che trae spunto dalla visita della regina di Saba, Bilqìs, a Salomone narrata in alcuni passi dell’Antico Testamento, ricordata nei Vangeli e ripresa dal Corano. Il tema centrale dell'opera di al-Hakim, che nella sua modernizzazione della leggenda si rifà soprattutto alla tradizione islamica e popolare, è il conflitto tra amore e saggezza. Quest'ultima è rappresentata da Salomone, che non riesce a resistere al fascino di Bilqìs, ritrovandosi vittima di un sentimento che lo condurrà all’errore. Secondo l’autore, spiega Borruso che ne ha curato la traduzione, "il conflitto amore-saggezza può essere risolto soltanto dalla morte, visto che per tutta la vita si è tormentati dal dubbio" (p. 8 ). Tra gli altri protagonisti del dramma si ricordano il pescatore, figura mite e serena, dotata di buon senso comune ma sostanzialmente apatica, e il genio, uno spirito folletto capace di grandi imprese e incline all’azione e al rischio.

Sapeva come sarebbe morto
Traduzione di V. Vacca, in «Levante», Anno IX, n. 3/4, Roma, Centro per le Relazioni Italo-Arabe, 1962, pp. 7-24.
Titolo originale: ‘Arafa kayfa yamùt

Commedia in un unico atto. Un pascià da tempo ritiratosi dalla vita pubblica una sera si reca dal direttore di un giornale per dargli una notizia da includere nell'edizione della mattina seguente. Gli anticipa così che quella stessa notte sarebbe morto in un attentato politico e, dopo aver espresso la sua gioia all'idea di lasciare questo mondo in maniera clamorosa, fa ritorno a casa. Il direttore fa subito preparare un articolo sulla tragica fine del pascià, ma poi verrà man mano a conoscere i risvolti inattesi e paradossali della sua vicenda.

Shahrazàd
Traduzione di A. Borruso, Roma, Editore Salerno, 1979, pp. 81.
Titolo originale: Shahrazàd (1934).

Dramma simbolista in sette atti ispirato alla storia cornice delle Mille e una notte, sullo sfondo della quale è stata costruita una vicenda del tutto nuova e con implicazioni importanti, estranee alla vecchia narrazione indo-persiano-araba. Nell’opera di al-Hakim, inoltre, non mancano riferimenti alla mitologia egizia e alla dea Iside a cui è paragonata la protagonista. Shahrazàd ha ormai conquistato Shahriyàr, il re pericoloso che faceva giustiziare le vergini dopo averle possedute, e prova verso di lui una tenerezza quasi malinconica, unita a un senso di ironica sfida. Donna astuta e al contempo d’animo nobile, forse simboleggia quella che è vista come l'immutabile natura femminile, insondabile e polivalente. Il visir, che l'ama, rappresenta l’amore puro; lo schiavo, che vuole il suo corpo, la bruta concupiscenza; e Shahriyàr, che cerca di capire la sua essenza, la ragione.

Shams an-Nahar
Traduzione di V. Strika, Roma-Palermo, Università di Palermo-Istituto per l’Oriente, 1974, pp. XI-106.

Commedia in tre atti apparsa nel 1965. Shams an-Nahar, da cui trae il titolo la commedia, è la “strana” figlia del sultano: si comporta come un soldato, ama leggere e meditare, e vuole vedere tutti i cittadini per scegliere tra loro un marito. Qamar è un uomo molto onesto e intelligente che solo per via delle umili origini non riesce ad occupare un posto di primo piano nella società. La sua astuzia e la sua moralità fanno sembrare ridicoli e insignificanti i personaggi principeschi delle corti in cui si svolgono alcune scene dell'opera.

Un sultano in vendita
Introduzione e traduzione di V. Vacca, Roma, Istituto per l'Oriente, 1964, pp. 99.
Titolo originale: al-Sultàn al-hà'ir (1960)

Dramma in tre atti ambientato all’epoca dei Mamelucchi, ma pieno di richiami alla realtà contemporanea. Il tema centrale è la legittimazione del potere. I Mamelucchi, in origine degli schiavi turco-circassi, venivano comprati per fare da guardie del corpo o da mercenari al servizio di un sovrano che poi soppiantavano, formando delle dinastie proprie. Nel dramma di al-Hakim si scopre che il sultano mamelucco protagonista del dramma in realtà non era mai stato affrancato, quindi non aveva il diritto di regnare. Messo perciò in vendita, sarà una bella donna ad acquistarlo per dargli la libertà. Il titolo originale può essere tradotto letteralmente come “Il sultano perplesso”. La perplessità a cui allude l'autore è, come egli stesso spiega, quella del mondo degli anni '50 che si domanda se la soluzione dei problemi internazionali debba avvenire con la forza o con la legge, con la bomba atomica o applicando i principi del diritto.

Viaggio nel futuro
Traduzione di A. Borruso, Mazara del Vallo, Liceo Ginnasio Gian Giacomo Adria, 1988, pp. 109.
Titolo originale: Rihla ilà al-ghad (lett.: Viaggio verso il domani, 1957).

Dramma in quattro atti. A un medico condannato per omicidio viene offerta la possibilità di sfuggire all’esecuzione: basta che accetti di essere lanciato nello spazio per un'importante missione scientifica. Un ingegnere nelle sue stesse condizioni lo affiancherà in questa missione spaziale. Quando il missile su cui i protagonisti viaggiano si schianta su un pianeta sconosciuto, i due, incredibilmente incolumi dall’incidente, scoprono tuttavia che l’esistenza sul nuovo pianeta non ha nulla di umano: sono ridotti ad automi, senza sentimenti, desideri e speranze. Il missile può ancora funzionare e così ritornano sulla terra, ma intanto sono trascorsi trecento anni. Il mondo che ritrovano è totalmente cambiato: tutto è perfettamente automatizzato, non vi sono più guerre, miseria e malattie, né bisogni che non si possano subito soddisfare. È un sistema perfetto, in cui però si perde il senso autentico della vita, ormai soggetta a una disumana programmazione. La gente non ha più sogni o grandi aspirazioni, quindi aumentano i suicidi. Chi vuole opporsi al sistema solo in apparenza perfetto, viene inesorabilmente condannato al silenzio. Il medico finisce così nuovamente in prigione.

Voglio quest'uomo
Traduzione di V. Strika, in «Levante», Anno XIV, N. 3-4 (dic. 1967), Roma, Centro per le Relazioni Italo-Arabe, pp. 54-68.
Titolo originale: Uridu hàdhà al-ragiul in Masrah al-mugtama'.

Atto unico ambientato nello studio di un avvocato dove fanno il loro ingresso due eleganti signorine. Durante il dialogo, da cui emerge il contrasto tra vedute tradizionali e moderne, una delle protagoniste si fa portavoce di alcune delle tesi più avanzate del femminismo egiziano. Il carattere farsesco e satirico di quest’opera ha portato molti a considerare l’autore un misogino, accusa che egli ha poi cercato di smentire.

Testi apparsi in antologie e in riviste:

Bandìto dal Paradiso. Traduzione di C. Sarnelli Cerqua, in «Levante», XI, 1964, 3-4, pp. 3-27;

Il martire!, in L'altro Mediterraneo. Antologia di scrittori arabi del Novecento (a cura di V. Colombo), Milano, Mondadori, 2004, pp. 19-30;

L’asino pensa. Presentazione e traduzione di A. De Simone, in “Rasà’il” , in memoria di U. Rizzitano, Palermo, 1983, pp. 215-46.

Scene e figure della campagna egiziana, in Narratori egiziani (a cura di F. Gabrieli), Milano, Garzanti, 1941, pp.197-224.

 

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